S3M, un modello per neve e ghiacciai

È stato recentemente presentato, in un articolo in preprint, l’ultima versione del modello Snow Multidata Mapping and Modeling (S3M) sviluppato dalla Fondazione CIMA, che permette di studiare l’evoluzione di ghiacciai e manto nevoso nel tempo. Questa versione del modello è la prima open-source.

Quanta neve c’è in montagna? Conoscerne la quantità nel modo più preciso possibile, così come il sapere quanto fondono i ghiacciai durante l’estate, è estremamente importante per la gestione della risorsa idrica. Sono infatti il ghiaccio e la neve che, accumulandosi durante l’inverno e fondendosi poi durante la primavera, assicurano l’approvvigionamento idrico nelle aree a valle, spesso anche a distanze di varie centinaia di chilometri.

Nel corso del tempo sono stati sviluppati diversi modelli per la descrizione delle dinamiche della criosfera, vale a dire quella parte del sistema terrestre coperto da ghiaccio. Difficilmente, però, questo modelli sono direttamente accoppiati ai modelli idrologici, che permettono di descrivere il comportamento che può avere l’acqua derivante dalla fusione di ghiaccio e neve in termini di portata, anche durante periodi alluvionali.

In uno studio pubblicato in preprint e attualmente in fase di revisione, firmato dai nostri ricercatori dell’ambito di Idrologia e Idraulica in collaborazione con i colleghi di ARPA Val d’Aosta e del Centro funzionale della Regione Autonoma Val d’Aosta, è descritto un modello che ha proprio questa caratteristica: è lo Snow Multidata Mapping and Modeling, o S3M.

Acqua, neve e ghiaccio

Come avevamo raccontato qualche tempo fa, le montagne possono essere considerate dei veri e propri serbatoi idrici: la precipitazione invernale in forma di neve, così come i ghiacciai, “conservano” l’acqua e la rilasciano poi in estate, contribuendo a far fronte alle richieste di approvvigionamento idrico quando la domanda è più alta e il meteo più secco. L’acqua derivante dalla fusione, allo stesso tempo, può contribuire ad alluvioni in ambiente montano, specialmente in primavera o autunno.

È per queste ragioni che diventa importante cercare di rispondere a una serie di domande. Per esempio, quanta risorsa idrica, in forma di neve o ghiaccio, è presente in un dato momento sulle nostre montagne? In quali aree si sta ancora accumulando neve, e dove invece è iniziata la fusione? O ancora, a fondersi è la neve o l’acqua defluisce anche dai ghiacciai? E in che proporzione?

Da monte a valle

Il modello descritto nel nuovo articolo contribuisce a rispondere a queste domande: «S3M, e più precisamente la versione 5.1, è stato sviluppato dalla Fondazione CIMA per descrivere l’evoluzione nel tempo dei ghiacciai e del manto nevoso», spiega Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica e primo autore dello studio. «Il modello comprende un insieme di elementi che ci permettono di studiare la situazione in una determinata area, a diverse scale temporali. Per esempio, il modello comprende la partizione delle fasi di precipitazioni (permette cioè di stimare quanta della precipitazione totale cade a terra in forma di neve o di pioggia), e distingue tra ghiacciai e manto nevoso».

«Ma soprattutto, uno degli elementi più importanti che lo caratterizzano è la possibilità d’impiegarlo insieme a modelli previsionali idrologici – e in particolare con il modello Continuum, anch’esso sviluppato dalla Fondazione CIMA», continua il ricercatore. In questo modo, S3M può rappresentare uno strumento molto utile anche per la valutazione dei possibili scenari di disponibilità della risorsa idrica, consentendo di accoppiare le previsioni e le valutazioni su neve e ghiaccio al loro “destino” una volta fusi.

Prospettive per studi futuri

S3M 5.1 è l’ultima versione di un modello in uso presso Fondazione CIMA da ormai molti anni. Oltre a varie migliorie introdotte nel corso del tempo grazie all’esperienza sul campo, la versione che è stata recentemente pubblicata è la prima a essere open access; pertanto, ogni utente può contribuire al suo sviluppo. Ora, i ricercatori della Fondazione CIMA continueranno a lavorare per perfezionarlo, in modo da tenere in considerazione, per esempio, l’influenza del vento e della vegetazione. Intanto, comunque, l’implementazione del modello nelle Alpi italiane nord-occidentali ha dimostrato di poter dare buoni risultati nel prevedere il bilancio di massa di neve e ghiacciai, e ciò permette di misurare le variazioni tra la neve (o il ghiaccio) accumulatasi nei mesi invernali e quella fusa durante la primavera.

«Inoltre, i tempi di calcolo relativamente rapidi suggeriscono che possa essere impiegato sia in campo di ricerca sia in campo operativo, anche tenendo in conto il possibile effetto del riscaldamento globale», conclude Avanzi.

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