Siccità nel Nord Italia: sulle Alpi circa il 40% della neve rispetto al 2010-2021

È stato appena pubblicato il report che analizza i dati sulla siccità che sta interessando il Nord Italia. Al documento ha contribuito la Fondazione CIMA, concentrandosi sulla quantificazione del deficit di acqua disponibile in montagna in forma di neve, che quest’anno risulta il 40% della mediana degli ultimi 12 anni 

Il Global Drought Observatory (GDO) del JRC ha appena pubblicato un report tecnico dedicato alla siccità che sta attualmente interessando il Nord Italia. Il documento, alla cui redazione ha contribuito anche la Fondazione CIMA, presenta i dati a oggi disponibili sulla situazione, compresi quelli riguardanti l’impatto che ha finora avuto questo periodo di siccità. 

Come avevamo già avuto modo di riportare, l’Italia (come altri Paesi europei) è stata infatti interessata negli ultimi mesi da un periodo di siccità che anche i nostri ricercatori e ricercatrici stanno analizzando. Il GDO è regolarmente impegnato nel monitoraggio dei fenomeni di siccità, e ogni mese rilascia bollettini informativi sulla situazione; quando per un evento si prevedono impatti significativi, inoltre, il GDO produce uno specifico approfondimento. È questo il caso del report appena rilasciato, e nel quale sono analizzati i diversi parametri ed elementi che caratterizzano la siccità.  

Tra i diversi parametri analizzati, il contributo della Fondazione CIMA si è concentrato sul cosiddetto Equivalente Idrico Nivale, ovvero l’indicatore che informa di quanta acqua è disponibile in forma di neve. «I dati prodotti per le Alpi italiane nel corso degli ultimi mesi indicano che, dopo un novembre in cui la neve accumulatasi risultava nella media, il successivo periodo secco ha fatto sì che, alla fine di febbraio, vi fosse il 40-50% di neve in meno rispetto alla media dei dodici anni precedenti; il deficit è particolarmente marcato nelle Alpi nord-occidentali», spiega Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito di Idrologia e Idraulica che ha contribuito alla stesura del report. «La rilevanza di questa carenza di neve sta nel fatto che proprio la neve rappresenta la riserva d’acqua più importante per diverse attività, dalla produzione di energia all’agricoltura, nei mesi primaverili ed estivi. In altre parole, l’assenza di neve non pone un problema nell’immediato, ma in prospettiva: è tra marzo e aprile, infatti, che l’aumento della temperatura determina la fusione della neve che, in forma di acqua, può essere impegnata per l’irrigazione e altre attività». 

Questo, per alcuni tipi di coltura, è un problema già ora. Per il riso, per esempio, l’irrigazione inizia proprio ad aprile. Come riporta il documento del JRC, a oggi la vegetazione nel Nord Italia è ancora in condizioni normali, ma la disponibilità d’acqua sarà minore del normale in primavera e per il fiume Po e i suoi affluenti si osservano già portate molto basse – che non difficilmente potranno essere colmate dalla fusione primaverile della neve. «Inoltre, osserviamo già un effetto negativo sui sistemi di produzione di energia idroelettrica: per molti invasi italiani, i valori attuali sono ancora più bassi dei minimi raggiunti tra il 1970 e il 2019», spiega Gustavo Naumann, anch’egli ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica coinvolto nella stesura del report.  

Purtroppo, anche se le precipitazioni nei prossimi mesi fossero abbondanti, il problema non sarebbe del tutto risolto: «Quando si parla di neve,  si parla  di una riserva d’acqua. Ciò significa che la scarsità di neve oggi sarà una scarsità d’acqua futura», spiega il ricercatore. «E anche se il problema si pone, pensando per esempio all’agricoltura, soprattutto alle coltivazioni che si basano sull’irrigazione, anche altre potranno risentirne: in mancanza di acqua, infatti, anche coltivazioni che di norma si possono basare sulle precipitazioni potrebbero avere bisogno di essere irrigate». 

Inoltre, pur tenendo in considerazione che le previsioni a lungo termine sono quelle più soggette all’incertezza, quelle stagionali per il periodo tra marzo e maggio non sono confortanti: i modelli previsionali suggeriscono infatti che vi sarà un periodo più secco del normale per il Piemonte e la parte meridionale del Veneto, nonché per gran parte dell’Italia, con alcuni hotspot in Sardegna, Provenza e Corsica. 

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