Il clima più caldo impatta anche l’ecosistema marino

Uno studio delle ricercatrici di Fondazione CIMA, pubblicato a gennaio, dimostra come, negli ultimi anni, il bloom o “fioritura” del fitoplancton sia sempre meno intenso: la causa sembra essere l’aumento delle temperature invernali dovuto al cambiamento climatico

È una fioritura diversa da quella che colora i prati in primavera, ma il suo ruolo è altrettanto importante: parliamo della “fioritura” (o, più propriamente, bloom) del fitoplancton, un insieme di microrganismi fotosintetici fondamentali per la vita del nostro pianeta, sia perché garantiscono gran parte della produzione di ossigeno in mare e anche parte di quello atmosferico, sia perché rappresentano la base della rete alimentare degli organismi acquatici. Proprio per il loro ruolo cruciale nella vita marina, unito alla loro sensibilità nei confronti dei parametri ambientali, sono uno degli indicatori più importanti tra quelli impiegati per monitorare lo stato di salute del mare e possono dare informazioni sugli effetti dei cambiamenti climatici nell’ambiente marino: è questo l’obiettivo del recente studio pubblicato su Science of the Total Environment e firmato da ricercatrici di Fondazione CIMA, in collaborazione con l’Università di Trento e l’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR.

I risultati presentati, basati sull’integrazione dei dati riguardanti il bloom del fitoplancton nel Mediterraneo con quelli meteorologici e oceanografici, indicano un aumento della frequenza di anni anomali e, soprattutto, un forte calo della sua intensità negli ultimi sette anni in tutti i siti studiati. La correlazione, suggeriscono le autrici, va posta nell’aumento delle temperature atmosferiche invernali che hanno caratterizzato gli ultimi anni. Si tratta di un segnale forte che gli effetti della crisi climatica sull’ambiente marino hanno bisogno di attenzione e sforzi di ricerca almeno quanto quelli terrestri.

Microrganismi che fioriscono

Il fitoplancton è un insieme di organismi unicellulari: alcuni sono batteri, altre alghe, altri ancora eucarioti, ma sono accomunati, oltre che dalla vita in ambiente acquatico, dalla capacità di fare la fotosintesi, cioè produrre ossigeno, assorbendo anidride carbonica e sfruttando la luce solare. In effetti, si stima siano responsabili di circa la metà della produzione di ossigeno terrestre, sebbene la loro biomassa sia molto limitata rispetto a quella degli alberi e delle altre piante. Inoltre, il fitoplancton rappresenta il primo livello trofico della rete alimentare acquatica, cioè la base che consente a tutti gli altri organismi di nutrirsi.

Se vale la pena tenere d’occhio il fitoplancton per questi suoi principali contributi ecologici, diventa ancora più interessante come indicatore se si considera che risponde molto velocemente, rispetto ad altri organismi, ai cambiamenti climatici. Ecco perché è uno dei principali protagonisti della valutazione dello stato di salute delle acque: in particolare, il suo studio attraverso i satelliti (che possono raccogliere dati sulla concentrazione di clorofilla, indice della presenza del fitoplancton) consente di raccogliere informazioni su vaste aree marine, anche al largo.

Dai cetacei alla clorofilla

«Il Mar Mediterraneo è considerato un hotspot di biodiversità, il cui stato di salute è quindi particolarmente prezioso. Nel periodo tra gennaio e aprile vi si osserva un bloom di fitoplancton, soprattutto al largo, ma solo in tempi recenti è stato possibile iniziare a raccogliere dati sufficientemente consistenti da consentire di studiarne l’andamento», spiega Francesca Grossi, prima autrice dello studio e dottoranda dell’Università di Genova che, nell’ambito Ecosistemi Marini di Fondazione CIMA, studia gli impatti del cambiamento climatico sulla megafauna marina. E sono proprio osservazioni di quest’ultima ad aver dato lo spunto per la nuova ricerca.

«Negli ultimi anni si è osservato un andamento anomalo della presenza di cetacei, soprattutto per la balenottera comune: la presenza è costante, ma a volte i gruppi presentano moltissimi individui, altre invece sono molto scarsi, altre ancora si presentano ben più vicini alla costa di quanto avvenga normalmente», spiega Paola Tepsich, referente dell’ambito Ecosistemi Marini e coordinatrice dello studio. «Ci siamo chiesti quali potessero essere le cause e, confrontandoci con il gruppo di meteorologia di Fondazione CIMA, abbiamo realizzato che gli stessi trend anomali vengono osservati anche nei parametri meteorologici. È nata così l’idea di cercare di metterli in relazione con quanto avviene nel mare, partendo proprio dal fitoplancton e dalla sua fioritura stagionale, che determina la disponibilità di cibo per i cetacei nei mesi successivi».

Le ricercatrici hanno quindi analizzato i dati sulla concentrazione di clorofilla raccolti nell’arco di 24 anni: quelli relativi al periodo 1998-2007 sono stati usati come riferimento per capire intensità e durata del bloom del fitoplancton nel Mediterraneo nord-occidentale, mentre quelli per il periodo 2008-2022 sono stati usati per lo studio vero e proprio, mettendoli in relazione con le variabili oceanografiche e meteorologiche.

Temperature invernali più alte, fioriture più scarse

«Poiché il raffreddamento delle acque superficiali ne causa lo sprofondamento e quindi il rimescolamento della colonna d’acqua, sono le caratteristiche meteorologiche invernali a influenzare il periodo di bloom, per cui ci siamo concentrate sull’andamento degli inverni. È ormai dimostrato che, nell’emisfero nord del pianeta, gli inverni si stanno facendo più brevi e le basse temperature si concentrano in periodi limitati», racconta Martina Lagasio, coautrice dello studio e ricercatrice dell’ambito Meteorologia e Clima di Fondazione CIMA. «In accordo con quanto già evidenziato da altri ricercatori, abbiamo osservato che, negli ultimi 14 anni, la temperatura invernale del Mediterraneo, tanto in atmosfera quanto in mare, ha mostrato un aumento significativo. Al contempo, le precipitazioni sono diminuite. È importante notare, inoltre, che l’aumento delle temperature in acqua coinvolge non solo la superficie ma anche gli strati più profondi. Questo è un dato allarmante, perché il Mediterraneo nord-occidentale è l’unica area propriamente fredda dell’intero bacino: infatti, il bloom di fitoplancton avviene in maniera ricorrente solo in quest’area. Qui si formano le acque fredde che influenzano la circolazione profonda dell’intero bacino: il riscaldamento osservato anche in acque profonde, quindi, caratterizzato da uno strato che mantiene costante la temperatura dell’acqua oltre i 400 metri di profondità: il riscaldamento osservato, quindi, può essere in grado d’intaccare le dinamiche di queste acque profonde».

Siamo abituati ad associare lo sbocciare dei fiori alle temperature che tornano miti, per cui potremmo aspettarci che anche per il fitoplancton valga lo stesso principio e inverni più caldi corrispondano a bloom più intensi. Ma le cose non stanno così. Al contrario, sono proprio le temperature aumentate ad associarsi ai periodi nei quali la concentrazione di clorofilla è più scarsa.

«L’analisi statistica mostra che non siamo di fronte a oscillazioni e correlazioni casuali ma che soprattutto in alcune aree vi è un’associazione significativa tra temperature più alte e bloom meno intensi. Sebbene abbiamo osservato un andamento di vero e proprio declino solo per alcune aree, la diminuzione del bloom è generale per tutti i siti studiati», spiega Grossi. «È un risultato che rende davvero urgente focalizzare l’attenzione sullo studio degli effetti della crisi climatica nell’ambiente marino e sugli effetti a cascata che possono avere: basti pensare che le stesse dinamiche alterate osservate per i cetacei, correlabili alla presenza di fitoplancton, possono essere applicate anche a specie d’interesse commerciale come il tonno Senza contare il ruolo del fitoplancton nell’assorbimento dell’anidride carbonica».

In questo senso, concludono le ricercatrici, lo studio può essere posto in un contesto più generale di Ocean Literacy – la comprensione dell’importanza di mari e oceani nella vita del nostro pianeta. Come specie terrestre, la nostra attenzione è inevitabilmente attirata soprattutto dall’ambiente in cui viviamo; ma sul pianeta tutti i sistemi sono strettamente interconnessi, e ciò che avviene in mare può avere effetti sostanziali anche sulla terraferma. «Un tempo si pensava che un “sistema tampone” grande come il mare non avrebbe mai potuto essere sostanzialmente alterato», conclude Tepsich. «Ma le cose non stanno così e oggi lo stiamo vedendo».

Nell’immagine di copertina: la mappa di concentrazione di clorofilla a marzo 2023, visualizzata sulla piattaforma Seawetra

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