GIRI, un modello multi-rischio per valutare la resilienza delle infrastrutture a livello globale

È stato recentemente pubblicato il primo report biennale sulla resilienza delle infrastrutture della Coalition for Disaster Resilient Infrastructure, un documento dedicato a indagare la resilienza di nove diversi settori infrastrutturali rispetto a differenti rischi derivanti da eventi naturali. Il report si basa su un modello sviluppato da un partenariato di enti internazionali che Fondazione CIMA ha coordinato, e sull’indice di resilienza da esso derivato: è il primo modello globale multi-rischio focalizzato sugli impatti alle infrastrutture, che tiene in considerazione anche gli effetti del cambiamento climatico

Strade, aeroporti, ospedali, scuole, reti ferroviarie, gasdotti, linee elettriche… Le infrastrutture forniscono servizi indispensabili alle nostre attività e, proprio per questa ragione, rappresentano anche un elemento fondamentale per ragionare in termini di sviluppo sostenibile. Infatti, la stessa Agenda 2023 per lo Sviluppo Sostenibile ne riconosce il ruolo e l’importanza in diversi obiettivi, a partire dal nono, Costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile.

Proprio le infrastrutture sono il fulcro delle attività portate avanti dalla Coalition for Disaster Resilient Infrastructure (CDRI), una partnership internazionale nata nel 2019 per promuovere, attraverso diversi tipi di azione, la resilienza delle infrastrutture già presenti e di quelle che saranno costruite in futuro. Tra le attività della CDRI vi è la pubblicazione, ogni due anni, di un report dedicato a esporre le priorità politiche, economiche e di ricerca per una maggior resilienza delle infrastrutture. La prima edizione del report è stata pubblicata a ottobre 2023: intitolata Capturing the Resilience Dividend, presenta il primo modello multi-hazard di rischio per le infrastrutture a livello globale, stimandone un indice di resilienza. Il lavoro si basa sull’innovativo Global Infrastructure Risk Model and Resilience Index (GIRI), sviluppato da Fondazione CIMA, Ingeniar, NGI e Università di Ginevra, e sarà presentato anche alla COP28 UAE organizzata a fine novembre.

Investire sulla resilienza

“Fare nuovi investimenti nelle infrastrutture senza che ne sia rafforzata la resilienza è come cercare di riempire d’acqua un cesto di bambù”: questo è il paragone che il report propone già nella sua introduzione, per spiegare il ruolo centrale che la resilienza infrastrutturale ha per lo sviluppo sostenibile. Investire in infrastrutture resilienti significa infatti non solo ridurre la perdita di servizi e i costi dei danni causati da disastri naturali e rischi climatici, ma anche avere la possibilità di migliorare la qualità dei servizi offerti, potenziandone affidabilità ed efficienza e diminuendone l’impatto ambientale (per esempio riducendo le emissioni o l’uso del suolo associato). Tutti elementi al cuore di uno sviluppo sostenibile nelle sue diverse dimensioni: sociale, ambientale ed economico.

Capire dove e come indirizzare gli investimenti per le infrastrutture in ottica di resilienza richiede però di avere una visione complessiva del rischio cui sono esposte. È quanto fa il nuovo report, concentrandosi su nove diversi settori: energia; gas e petrolio; telecomunicazione; porti e aeroporti; strade e ferrovie; acqua dolce e reflua; salute; educazione; e infine costruzioni commerciali, industriali e residenziali.

Nove settori e sei rischi per un unico modello

«Per valutare i rischi cui è esposto ciascuno di questi settori infrastrutturali abbiamo realizzato un modello globale che permette di stimarne la resilienza. Uno degli elementi più innovativi del modello è che si tratta del primo realmente multi-rischio: i modelli globali disponibili a oggi, infatti, sono di solito concentrati su uno o pochi rischi e settori. Il modello presentato nel report analizza invece i rischi riguardanti alluvioni, siccità, terremoti, tsunami, cicloni e frane», spiega Roberto Rudari, direttore di programma di Fondazione CIMA, tra gli enti che hanno contribuito alla realizzazione del report con responsabilità in particolare per il coordinamento delle attività e il supporto tecnico per la modellistica riguardante alluvioni e siccità. «Raggiungere questo obiettivo ha richiesto una metodologia che rendesse tutti i risultati quanto più possibile omogenei, così che fossero confrontabili tra le diverse nazioni». I dati di input del modello per i rischi idrometeorologici tengono in considerazione anche gli effetti del cambiamento climatico, sulla base dei più recenti dati disponibili, secondo due diversi scenari (a maggiore o minore aumento delle temperature globali).

Il rischio stimato dal modello è quindi tradotto in metriche, che mostrano per esempio la possibile perdita media annuale per un determinato settore, in una specifica area analizzata. Infine, il modello restituisce un indice di resilienza, che non tiene in considerazione solo il danno diretto alle infrastrutture stesse ma anche i fattori di rischio e vulnerabilità socio-economici.

«La risoluzione dei dati di un modello a scala globale è troppo bassa per quantificare il rischio in uno specifico asset o per disegnare nuovi progetti infrastrutturali», precisa Rudari. «Tuttavia, GIRI è pensato per permettere confronti per capire dove possa essere più necessario stanziare un investimento; inoltre, fornisce un esempio metodologico sulla base del quale sviluppare la stessa analisi a livello locale, impiegando dati di maggior dettaglio. Infine, vale la pena sottolineare il suo ruolo anche come indicatore di performance: infatti, permette di monitorare nel tempo i cambiamenti e i progressi riguardanti la resilienza delle infrastrutture».

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