La biodiversità è una caratteristica essenziale della biosfera, ed è anche una forma di intelligenza collettiva e un sistema che si autoregola, si adatta, si plasma in risposta al cambiamento. È una memoria: ogni specie, ogni organismo, ogni ciclo ecologico custodisce la traccia di una dinamica millenaria. Ma c’è un punto in cui questa intelligenza entra in crisi. Quando la pressione ambientale e antropica supera la soglia della resilienza, la biodiversità viene compromessa.
Oggi, tra i principali fattori di pressione ecologica, la siccità si impone come fenomeno chiave: trasversale, crescente, sistemico. Non si tratta solo di un evento climatico estremo, ma di un processo in grado di alterare profondamente il funzionamento degli ecosistemi. Quando la siccità agisce in ambienti già stressati da altri fattori – urbanizzazione, inquinamento, frammentazione degli habitat – diventa forza trasformativa. Cambia la composizione delle specie, favorisce quelle più resistenti e generaliste ma potenzialmente meno funzionali, riduce la complessità strutturale degli ecosistemi. Alcuni collassano, altri mutano in configurazioni semplificate, più povere. In entrambi i casi, la biodiversità si riduce, si perde significato ecologico e valore sistemico. Il punto non è solo la perdita di specie. È la perdita di funzione.
Per comprendere questa dinamica e i suoi impatti sulla biodiversità, la nostra Fondazione ha analizzato i dati del World Drought Atlas, una delle più complete fonti di informazione climatica globale, integrandoli con la prospettiva operativa sviluppata all’interno del National Biodiversity Future Center (NBFC). È a partire da questa base di conoscenza – scientifica, tecnica, applicata – che costruiamo ogni giorno strumenti per osservare, interpretare e salvaguardare i sistemi naturali. Perché la biodiversità non è solo un valore da tutelare: è la condizione stessa per la resilienza della nostra vita sul pianeta.

Quando gli ecosistemi che trattengono il carbonio, che filtrano l’acqua, che regolano il clima, smettono di farlo
Il ciclo del carbonio, ad esempio, è profondamente interconnesso con la salute degli ecosistemi vegetali. Durante periodi prolungati di siccità, le piante riducono l’attività fotosintetica e la capacità di assorbire CO2 atmosferica, e riducono il rilascio di vapor d’acqua in atmosfera, aggravando le condizioni siccitose. In queste condizioni, gli ecosistemi naturali riescono a rinfrescare meno e l’ambiente diventa più caldo, innescando un feedback climatico che rende gli eventi siccitosi ancora più acuti.
Nel frattempo, le comunità animali subiscono una doppia pressione: da un lato la scarsità di risorse idriche e alimentari, dall’altro la perdita o la trasformazione degli habitat. Le interazioni trofiche si spezzano, i cicli vitali si disallineano, molte specie perdono i segnali stagionali che regolano migrazioni, riproduzione, fioritura. Gli ecosistemi, in apparenza ancora verdi o popolati, iniziano a svuotarsi di funzioni invisibili ma essenziali.
Alcune di queste transizioni sono irreversibili. È il caso di ecosistemi terrestri che superano il punto di non ritorno e si ricostruiscono attorno a nuove dinamiche ecologiche, che diventano meno diversificati e meno capaci di rispondere alle pressioni future. Anche negli ambienti marini e costieri si osservano trasformazioni, ma attraverso meccanismi differenti.
Il mare che cambia silenziosamente
L’ambiente marino, spesso percepito come lontano dagli effetti diretti della siccità, sta in realtà cambiando. La diminuzione dell’apporto fluviale causata dalla siccità insieme alle sempre più frequenti heat waves, modificano la salinità e la temperatura delle acque costiere. Cambiano i cicli di nutrienti, si alterano gli equilibri planctonici alla base della catena alimentare, si riduce la resilienza delle praterie sottomarine e delle barriere coralline.
Queste dinamiche si riflettono sulla biodiversità marina con effetti non sempre evidenti, ma profondi. Alcune specie tendono a spostarsi verso le acque più fredde, altre non riescono ad adattarsi e scompaiono localmente. L’effetto combinato della siccità con altri elementi di stress, come il riscaldamento globale e l’acidificazione degli oceani, produce scenari complessi, difficili da prevedere e ancor più da gestire.
In questo contesto, cresce l’importanza del monitoraggio integrato, della modellazione dei flussi marini e dei cambiamenti negli habitat. La biodiversità marina non è solo bellezza: è regolazione climatica, pesca sostenibile, turismo consapevole. Proteggerla significa proteggere funzioni vitali del pianeta.
La soglia delle foreste
Le foreste mediterranee sono sistemi adattati all’aridità, ma non all’aridità estrema. Le ondate di calore e i periodi siccitosi che durano mesi mettono sotto pressione le specie arboree, alterano la rigenerazione naturale, favoriscono incendi più intensi e frequenti. Il bilancio idrico dei suoli cambia, la lettiera si decompone più lentamente, gli insetti patogeni si diffondono con maggiore facilità.
La biodiversità forestale risponde a questi segnali con cambiamenti progressivi: alcune specie arboree rallentano la crescita, altre vengono sostituite da specie pioniere meno esigenti ma anche meno funzionali. Gli animali che dipendono da queste piante per cibo e riparo devono spostarsi, adattarsi o scomparire. È un processo silenzioso ma profondo, che può portare nel tempo a una semplificazione funzionale delle foreste.
Per riconoscere queste soglie prima che siano superate, servono strumenti di osservazione ad alta risoluzione, modelli eco-idrologici, reti di monitoraggio integrate. È necessario conoscere la dinamica delle specie viventi, del suolo, dell’acqua superficiale e sotterranea, dei flussi di materia ed energia, ovvero di quell’insieme di elementi che compone la Zona Critica, lo strato superficiale delle terre emerse. Solo così è possibile cogliere i segnali deboli del cambiamento, quelli che precedono le trasformazioni irreversibili.
Biodiversità come struttura di sicurezza ecologica
La biodiversità non è un bene da conservare solo per ragioni etiche o estetiche. È una struttura di sicurezza ecologica: ci fornisce cibo, acqua, aria pulita, protezione dai disastri naturali. È una rete di servizi ecosistemici che sostiene il funzionamento stesso del pianeta.
Nel quadro del National Biodiversity Future Center (NBFC), si sta costruendo una visione sistemica di questa struttura, basata sull’integrazione di dati osservativi, modellazione predittiva, tecnologie di monitoraggio e strumenti di supporto alle decisioni. Si studiano foreste e ambienti marini, si analizzano le soglie di resilienza, si sviluppano strumenti per anticipare e gestire le transizioni ecologiche e per trovare soluzioni alle sfide per una conservazione dell’ambiente efficace.
Fondazione CIMA contribuisce a questa visione mettendo in campo la propria competenza nello studio della biodiversità marina, con un focus specifico sui grandi predatori pelagici. All’interno dello Spoke 2 – che ha come obiettivo di trovare soluzioni per invertire la perdita di biodiversità marina e gestire le risorse marine – i nostri ricercatori e le nostre ricercatrici lavorano per mappare la distribuzione e i movimenti delle specie, valutare l’impatto delle attività umane, prevedere scenari futuri alla luce dei cambiamenti climatici e migliorare le tecnologie di osservazione marina. I grandi predatori vengono utilizzati anche come vere e proprie sonde oceanografiche mobili, capaci di restituire informazioni preziose sullo stato di salute degli ecosistemi offshore.
Menzione speciale
Anxo Gende Soane, partecipante al programma Cetasmus presso Fondazione CIMA, ha ricevuto il premio per il miglior poster scientifico nell’ambito della 36ª conferenza annuale della European Cetacean Society. Il lavoro premiato, sviluppato nel contesto delle attività del National Biodiversity Future Center (NBFC), è intitolato “Improving cetacean body length estimation using aerial photogrammetry: addressing the impact of body curvature and surfacing variability”.
Uno studio innovativo che contribuisce a migliorare l’accuratezza delle tecniche di fotogrammetria aerea per la stima della lunghezza corporea dei cetacei, tenendo conto delle variazioni morfologiche durante il nuoto. Un passo importante verso tecniche di monitoraggio non invasive, sempre più precise e affidabili, per lo studio e la conservazione della megafauna marina.
Fondazione CIMA è, inoltre, coinvolta nello Spoke 4 – Ecosystem functions, services, and solutions, con un focus specifico sugli impatti della propagazione di incendi sulle dinamiche ecologiche in contesto fortemente multidisciplinare in grado di far dialogare e trovare sinergie fra settori scientifici fortemente specializzati.
Il contributo della Fondazione si concentra sullo sviluppo e l’applicazione di strumenti digitali, modelli predittivi e piattaforme di monitoraggio per valutare l’impatto degli incendi sugli ecosistemi terrestri e sostenere strategie di adattamento climatico basate su approcci Nature-based.
Particolare attenzione è rivolta agli effetti dell’intensità del fuoco sulle proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo, che influenzano profondamente la capacità di rigenerazione post-incendio degli ecosistemi mediterranei. Incendi ad alta intensità possono, infatti, compromettere la struttura del suolo, aumentare l’idrorepellenza, ridurre la fertilità e alterare drasticamente le comunità microbiche e fungine, con conseguenze dirette sulla capacità delle specie vegetali di reinsediarsi. Tuttavia, molte specie mediterranee hanno sviluppato adattamenti specifici alla ricorrenza del fuoco, come la germinazione stimolata dal calore o dalla cenere, la ricrescita da organi sotterranei protetti e la dispersione rapida dei semi, che conferiscono una notevole capacità rigenerativa.
La biodiversità è in costante evoluzione. Non è un catalogo di specie da proteggere in teche di vetro. È dinamica, relazionale, e fortemente connessa alla pressione antropica. La sua continua trasformazione può portare alla perdita di complessità e diversità e ad una maggiore vulnerabilità dei sistemi socio-ecologici nel loro complesso.
Riconoscere i segnali, misurare gli impatti, costruire strumenti per anticipare il superamento di soglie: è questo oggi il compito della scienza. Una scienza che non si limita a descrivere il mondo, ma lavora per accompagnarne la trasformazione verso forme sostenibili di coesistenza.
In un tempo che cambia, la biodiversità è la condizione stessa per poter continuare a cambiare.