Usare i droni per studiare il soffio dei cetacei

Uno studio recentemente pubblicato su PLOS ONE mostra come i droni possano essere usati per raccogliere in modo poco invasivo anche campioni del soffio di delfini, dal quale si possono trarre informazioni sul loro stato di salute, attraverso l’analisi della flora batterica

L’avvento dei droni multicottero sta rivoluzionando la ricerca sui mammiferi marini, offrendo un nuovo e originale punto di vista soprattutto nel monitoraggio sul campo, dove le condizioni operative possono risultare piuttosto estreme. In particolare, i droni (o meglio, in italiano, aeromobili a pilotaggio remoto, APR) si stanno rivelando un valido aiuto per lo studio degli animali marini – e di un aspetto nello specifico: la raccolta di campioni del fiato dei cetacei che, quando salgono in superficie, respirando “sbuffano” una manciata di volte al minuto.

Il soffio di questi animali, infatti, contiene alcune informazioni utili ad approfondire la fisiologia, la genetica e lo stato di salute dell’animale. Gli studi sul soffio di grandi balene, inizialmente, vennero considerati piuttosto eccentrici, biologi creativi usavano collant di nylon per intrappolare il catarro espulso nel soffio dalle balene, e uno di questi studi pionieristici venne premiato con un Ig Nobel nel 2010. Ma col passare del tempo, il grande potenziale di questo approccio è diventato chiaro anche ai più scettici e, negli ultimi anni, numerosi studi sono stati effettuati sul soffio di grandi balene, particolarmente potenti. Uno studio recentemente pubblicato su PLOS ONE e firmato, tra gli altri, da un ricercatore della Fondazione CIMA, ha valutato la possibilità e confermato con successo l’impiego dei droni anche per il campionamento del soffio dei cetacei più piccoli, i delfini, per i quali questa procedura è risultata finora difficoltosa e poco indagata.

Un soffio ricco d’informazioni

Quando sono in superficie, espirando, i cetacei espellono l’aria attraverso lo sfiatatoio, un organo omologo alle nostre narici. Questo processo produce il caratteristico soffio, che è un misto di aria e acqua nebulizzata (acqua marina che si trova casualmente all’interno delle narici) che in alcuni casi – come quello delle balenottere azzurre – si può vedere a chilometri di distanza, soprattutto durante le secche e fredde giornate invernali, quando l’aria calda espirata condensa formando una nuvola di spray biancastro che, in alcune specie, può raggiungere i cinque metri di altezza e perdurare per qualche secondo nell’aria.

L’aria emessa con il soffio può darci alcune interessanti informazioni sui cetacei: contiene infatti alcuni ormoni e metaboliti, cellule morte della mucosa respiratoria (utili per le indagini genetiche) nonché i batteri e i virus commensali dell’animale, che a loro volta possono essere indicatori del suo stato di salute. Insomma, il soffio potrebbe essere un elemento importante e utile per studiare i grandi mammiferi marini in modo per nulla invasivo, traendo dall’aria espulsa all’esterno una serie di dati sul benessere all’interno dell’organismo. Tuttavia, com’è facile intuire, catturare un soffio non è semplice, non solo perché non possiamo arrampicarci sul dorso di una balena pronti a campionarlo appena sfiata, ma anche perché l’aria si disperde rapidamente nell’atmosfera.

Più piccolo, più difficile

Per gli studi in questo campo (come in molti altri), i droni si stanno rivelando sempre più un valido aiuto. Alcuni lavori, infatti, li hanno già impiegati per il campionamento del soffio di grandi cetacei, come la megattera, il capodoglio e la balenottera azzurra. Restano invece ancora poco applicati nella ricerca sui cetacei più piccoli: «La velocità a cui nuotano, unita all’esiguità del soffio, di delfini come il tursiope (Tursiops truncatus), ben più rapidi e imprevedibili delle grandi balene, rendono difficile la raccolta dell’aria espirata soprattutto con i droni», spiega Massimiliano Rosso, ricercatore dell’ambito Ecosistemi Marini della Fondazione CIMA e co-autore dello studio. «Per questa ragione, abbiamo voluto testare un particolare kit di campionamento che ci consentisse di superare tali limiti. Abbiamo condotto un test preliminare su tursiopi in cattività, all’Acquario di Genova, per poi spostarci a lavorare in mare aperto».

I ricercatori hanno infatti raccolto campioni provenienti da soffi di cinque tursiopi nel Golfo di Ambracia, in Grecia, e da un capodoglio nel Mar Tirreno. «Il capodoglio è un animale circa 50 volte più grande del tursiope; il campionamento del soffio del capodoglio ci è servito per fare un confronto, ossia per vedere se il kit avesse la stessa sensibilità riscontrata col soffio di capodoglio anche nei delfini più piccoli, che hanno soffi decisamente meno cospicui», specifica Rosso. I droni dotati del kit di campionamento, rappresentato fondamentalmente da alcune piastre di Petri (semplici “piatti” di plastica sterile, comunemente usati in laboratorio per la coltivazione di microorganismi), sono stati trasportati dai droni e fatti volare a circa tre metri di altezza dall’animale, utilizzando una prolunga di un paio di metri, in modo da limitare al minimo il possibile disturbo.

Un soffio al volo

Una volta catturato letteralmente al volo il campione del soffio, i ricercatori hanno anche raccolto un campione dell’acqua in cui l’animale stava nuotando. «Il nostro scopo principale era indagare il microbioma dell’animale, quindi la comunità microbica – più specificatamente, il pool genetico dei batteri – delle sue vie aeree», spiega Rosso. «È quindi molto importante distinguere quali batteri provengono dall’acqua di mare nebulizzata durante il soffio e quali invece dall’apparato respiratorio del delfino». Quindi, è stato sequenziato il genoma dei batteri provenienti da entrambi i campioni.

I risultati del campionamento e del sequenziamento hanno rivelato che le comunità batteriche differiscono tra i campioni d’acqua, e anche tra quelli del soffio dei cetacei in natura e quelli in cattività. Ma, scrivono i ricercatori, questo è un riflesso delle differenze tra l’acqua di mare e quella delle vasche nell’acquario. Il risultato principale è però l’aver mostrato come, nonostante alcuni limiti, l’impiego dei droni sia applicabile ed efficace per la raccolta dell’espirato, anche di cetacei piccoli come il tursiope.

«Dovremo senz’altro fare ulteriori studi, anche perché abbiamo lavorato solo un numero molto limitato di animali. Però abbiamo potuto verificare che alcune delle difficoltà tecniche e logistiche evidenziate da lavori precedenti possono essere risolte», conclude Rosso. «Per esempio, l’aver sospeso il kit di campionamento rispetto al drone ha facilitato la raccolta del soffio: è una soluzione piuttosto semplice ma molto efficace. Ora vogliamo continuare a lavorare su questa strada, che ci consentirebbe di studiare i cetacei in modo approfondito e, insieme, poco invasivo. E nel frattempo, ci siamo già portati avanti: stiamo campionando soffi di globicefali (Globicephala macrorhynchus) in Atlantico… ma questa è la prossima storia». 

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