Su Science, la cooperazione sino-italiana per la tutela dei cetacei del Mare Cinese Meridionale

La collaborazione tra il principale Istituto Oceanografico cinese e la Fondazione CIMA ha portato i ricercatori a indagare la ricchezza del Mare Cinese Meridionale, dove vive oltre un terzo delle specie di cetacei del pianeta. Ultimo risultato di questa collaborazione accademica è una lettera che evidenzia la necessità di politiche volte a tutelarli.

Sono necessarie politiche di conservazione e investimenti nella ricerca scientifica per tutelare le specie che popolano il Mare Cinese Meridionale. È quanto afferma una lettera appena pubblicata sulla rivista Science che segna uno dei primi risultati della prestigiosa collaborazione sino-italiana tra l’Institute of Deep-sea Science and Engineering (IDSSE) della Chinese Academy of Sciences, uno dei più importanti istituti di ricerca oceanografica al mondo, e la Fondazione CIMA.

I cetacei sono predatori apicali dal fondamentale ruolo ecologico, oltre a rappresentare una componente importante della biodiversità marina ed essere degli indicatori dello stato di salute degli ecosistemi. Oltre un terzo di tutte le specie popola anche il Mare Cinese Meridionale, che copre una vasta area dell’Oceano Pacifico. È in queste acque che, a maggio 2019, i ricercatori cinesi e italiani si sono imbarcati per condurre, per la prima volta, un’indagine dedicata sulla presenza e lo stato di salute delle diverse specie di cetacei in questo mare ancora poco conosciuto. Delle otto specie di cetacei incontrate, ben sette non erano mai state segnalate prima nell’area. Tutte le specie osservate sono tutelate dalla Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratorie (CMS) e inserite nelle Appendici I e II della CITES, che tutela le specie a livello globale attraverso la regolamentazione del loro commercio.

«Durante questo survey abbiamo eseguito diversi protocolli di campionamento, mirati al censimento degli animali sia a livello numerico che genetico, quest’ultimo tramite delle piccole biopsie cutanee, e al marcaggio satellitare necessario per monitorare gli spostamenti degli animali. Grazie ai protocolli sviluppati dal DSFTA dell’Università di Siena, abbiamo inoltre svolto un monitoraggio pilota per quantificare la presenza di plastiche, sia attraverso monitoraggio visuale delle plastiche galleggianti sia attraverso la cattura di diverse specie di pesci, per capire l’impatto della plastica nella catena alimentare», spiega Massimiliano Rosso, ricercatore dell’ambito Ecosistemi Marini e co-autore della lettera. «I risultati di quest’indagine hanno evidenziato una ricchezza unica in questo mare; ricchezza però minacciata da diverse attività antropiche». Prima tra tutte la pesca, che non solo limita la disponibilità di cibo per i cetacei, cui sottrae le prede, ma che pone anche il rischio del bycatch, cioè di catture involontarie negli ami o nelle reti calate da parte dei pescatori di almeno cinque stati che operano nell’area oggetto dello studio.

Il team ha contato sulla presenza di altri ricercatori italiani quali Alessandro Bocconcelli, visiting scientist presso la Fondazione CIMA, la cui esperienza trentennale nelle operazioni di avvicinamento agli animali è stata fondamentale durante la raccolta delle biopsie, e Francesco Caruso ricercatore in forza all’Istituto cinese, specializzato in bioacustica. Quest’ultimo sottolinea: «I rumori sottomarini prodotti dalle attività antropiche possono danneggiare l’udito e l’orientamento dei cetacei alterandone il comportamento e le capacità comunicative, un fenomeno che può avere effetti molto negativi sulla sopravvivenza delle diverse specie di balene e delfini».

Sono queste osservazioni che spingono gli autori della lettera a sottolineare l’importanza d’intraprendere azioni di conservazione. Songhai Li, coordinatore del progetto per IDSSE, mira a rafforzare la collaborazione tra la comunità scientifica e quella politica per sensibilizzare e stimolare i governi regionali a modificare le attuali politiche per la protezione dei mammiferi marini nel Mare Cinese Meridionale. Nel frattempo, dovrebbero continuare ed essere approfondite le ricerche sui cetacei, anche tramite programmi di cooperazione internazionale, così da individuare le aree su cui concentrare gli sforzi di conservazione e implementare le norme di tutela attraverso una miglior gestione delle attività antropiche.

«Abbiamo già da tempo siglato un protocollo d’intesa con il IDSSE della Chinese Academy of Sciences, alla quale abbiamo potuto mettere a disposizione l’esperienza e le ricerche condotte in quindici anni nel santuario dei cetacei Pelagos. Il progetto che il gruppo sino-italiano sta portando avanti – del quale la lettera pubblicata su Science è uno degli ultimi risultati – sarebbe dovuto andare avanti nel corso di maggio di quest’anno, ma è stato temporaneamente sospeso a causa della pandemia di Covid-19», spiega Luca Ferraris, Presidente della Fondazione CIMA. «Comunque, il lavoro condotto in questo periodo ci ha dimostrato quanto la collaborazione con i colleghi cinesi sia fondamentale per aiutare la tutela dell’ambiente e la conservazione di questi importanti predatori, i mammiferi marini».

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