Donne e scienza, qualche considerazione tra colleghe

Abbiamo colto l’occasione di due date relativamente vicine dedicate alle donne, quella dell’11 febbraio e dell’8 marzo, per parlare con le colleghe e sentire direttamente dalla loro voce opinioni e considerazioni di chi, come donna-lavoratrice, si confronta ogni giorno con un ambiente scientifico. Il testo qui presentato non si pone come un’indagine statistica e non ha alcuna pretesa di raggiungere posizioni o indicare strategie univoche: piuttosto, è il semplice frutto di un incontro aperto, che spera di contribuire, con alcuni spunti di riflessione del tutto personali, al dibattito sull’uguaglianza di genere in generale e nella scienza in particolare 

A distanza relativamente ravvicinata, l’11 febbraio e l’8 marzo, cadono due giornate internazionali dedicate alle donne: si tratta rispettivamente della Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza, istituita dall’ONU per promuovere la parità di genere nelle carriere scientifiche, e della Giornata internazionale della donna, che quest’anno l’ONU ha intitolato Gender equality today for a sustainable tomorrow, a evidenziare come da una parte le donne siano rimaste più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico e come, dall’altra, solo le pari opportunità per uomini e donne possano garantire il successo delle strategie di sviluppo sostenibile. 

Abbiamo colto l’occasione di queste due importanti date per fare qualche riflessione sulla condizione femminile in ambiente scientifico. Abbiamo voluto rivolgerci direttamente alle “nostre donne”, le ricercatrici ma non solo, anche chi lavora in ambito amministrativo, nella comunicazione o in altri settori che sono parte integrante e fondamentale delle attività di Fondazione CIMA. In questo modo, abbiamo potuto allargare la discussione non solo alle carriere strettamente di ricerca ma a tutte coloro che si trovano a lavorare e confrontarsi con un ambiente scientifico.  

Ne è nata una discussione aperta con alcune delle lavoratrici della Fondazione – una discussione che non ha la pretesa di identificare problemi e soluzioni univoci, bensì di porsi come momento di condivisione, per noi come per chi leggesse queste righe, e semplicemente contribuire, pur nel loro carattere personale, ad arricchire il dibattito in tema. Condividiamo quindi alcune delle considerazioni e delle esperienze riportate durante il momento di discussione e confronto. 

Tra lavoro e famiglia 

«Come molte altre colleghe, sono qui da anni e questa è la prima occasione di confronto sul tema che mi viene proposta… mi fa molto piacere!»; «Il mio compagno, quando gli ho raccontato dell’incontro, ha commentato che nella sua azienda non sarebbe mai stato organizzato». Questi sono due dei primi commenti che vale la pena riportare: l’occasione di un momento di discussione sul significato, i limiti e le prospettive dell’essere donna in un ambiente scientifico non è poi così scontato ma è apprezzato.  

«Mi è successo, sì, di sentire la differenza nell’essere donna quando molti anni fa, in una realtà lavorativa diversa da quella attuale, mi si chiese di firmare un documento relativo a eventuali gravidanze»; «Ho iniziato la mia carriera in uno studio di ingegneria dove era molto forte la differenza tra uomini e donne, legata soprattutto alla maternità – è stata una delle cose che mi ha fatto lasciare lo studio. Nel contesto internazionale, invece, ho trovato che la voce della donna nel nostro campo sia considerata di più»; «Il carico del lavoro familiare rimane molto più sulle donne, e questo rappresenta un auto-limite che ci imponiamo, perché lascia meno tempo  e disponibilità, per esempio per quanto riguarda i viaggi di lavoro»; «Da amministrativa, ho avuto modo di osservare coppie che “partivano insieme”, con la stessa posizione: poi la donna sceglieva di lasciare questo ambiente per avere un orario più elastico e maggiori tutele in caso di maternità o per accudire gli anziani (perché la cura è sempre in capo alle donne). Insomma, la donna ha dovuto fare scelte diverse pur partendo dalla stessa posizione». Quello della maternità, della cura domestica e dei familiari, sembra rimanere un limite condiviso da tutte – e tutto sommato indipendente dalla realtà scientifica ma semmai, come hanno evidenziato alcune colleghe «un limite di ruolo e di scelte di vita», legato «alla società e al contesto culturale». 

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Questo aspetto ne chiama in campo un altro, piuttosto rilevante in un contesto (come, peraltro, quello della Fondazione CIMA) in cui il lavoro può facilmente portare ricercatori e ricercatrici a viaggi all’estero e a una certa elasticità di orario. «Non avere figli fa sì che io possa dare maggiore disponibilità rispetto ad altri, e sono convinta che questo sia visto come un valore aggiunto del mio lavoro. Non la percepisco come una discriminazione ma mi sembra evidente che la condizione lavorativa porti a perpetrare questa logica»; «Eppure, se una donna non riesce a partire per ragioni familiari… lo stesso dovrebbe avvenire con un uomo che ha famiglia e figli! E invece questo lo osserviamo di rado: ecco perché questo è un aspetto che sembra richiamare una differenza legata più a cultura e società che all’ambiente scientifico». Forse, come evidenzia qualcuna, la questione può essere invertita: non sarebbe tanto l’idea che una donna non possa occuparsi di scienza quanto «Credo sia più presente nella nostra società l’idea che un uomo non possa occuparsi dell’aspetto familiare e relazionale da solo». 

C’è poi un punto importante che riteniamo di dover riportare in questo senso, emerso da una delle nostre colleghe: «Penso che ci sia ancora una visione un po’ arretrata secondo la quale, per gli avanzamenti di carriera, la disponibilità h24 sia uno degli elementi più importanti; tuttavia, secondo me essere costantemente a disposizione non è l’elemento più importante per un buon direttore, un buon project manager o per qualsiasi altro ruolo!». 


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Consiglieresti a una ragazza di intraprendere una carriera scientifica? 

Oggi l’attenzione a evitare differenze di genere in ambito scientifico è alta, con molte ricerche dedicate anche a comprendere eventuali aspetti che possano frenare le ragazze a iniziare gli studi e una carriera in ambito STEM. Come è stato per le nostre colleghe? In effetti, i ricordi personali sul tema sono emersi spontaneamente nel corso dell’incontro: «In quinta liceo, la professoressa mi disse di non fare ingegneria, perché era un ambiente maschile: per una donna era meglio iscriversi a fisica»; «Esperienza analoga: alla fine degli anni Novanta, quando ho finito il liceo, ho assistito a una presentazione del corso d’ingegneria meccanica… e il professore che la teneva ha sentito il bisogno di specificare che la struttura era dotata anche di bagni per le donne!». 


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E ora? Consiglieremmo a una ragazza di intraprendere questo percorso? «Ho percepito più volte il senso di discriminazione quando, per esempio, a un tavolo di discussione mi trovavo a dover ripetere con energia, più volte, una proposta o un parere che, se espresso da un collega maschio, non aveva problemi a essere accettato. E questa è una delle ragioni per la quale, quando qualche ragazza – per esempio una delle studentesse di dottorato che ho seguito – mi ha chiesto un’opinione, le ho suggerito di pensarci: a un certo punto della carriera, siamo chiamate a fare una scelta. Sulla bilancia vanno messa la genitorialità, la trasferta, il livello. E magari, a un certo punto della vita, proverai frustrazione nel renderti conto di aver sacrificato molto più di altri per raggiungere gli stessi obiettivi». 

Discriminazione e considerazioni per superarla nel quotidiano 

Naturalmente, quello della discriminazione nelle sue più diverse forme è uno dei temi più sentiti. Non tutte le colleghe che hanno partecipato all’incontro hanno riportato di averla sperimentata, e comunque le esperienze sono state diverse: dalla maggiore difficoltà a far tenere nella dovuta considerazione un parere, allo scoprire una differenza ingiustificata di stipendio, alla percezione di fare da “segretaria” a un collega… Ma quali strategie ci vengono in mente per superarle, quando presenti, nel quotidiano? Ossia, al di là di strategie istituzionali – sulle quali la Fondazione CIMA ha già iniziato a lavorare, pubblicando di recente il proprio Gender Equality Plan – come pensano, le nostre colleghe, sia giusto affrontare queste situazioni? 


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«Per quanto possa apparire banale, credo che il primo fondamentale punto sia far notare i bias e i problemi – cioè di non temere di esporsi, perché riconoscerli è il primo fondamentale passo per affrontarli». E ancora «Partecipazione e azione, anche se a piccoli passi: è importante che ci sia il confronto anche con gli uomini, dato che si parla di una mentalità subconscia condivisa dai sessi. Il mio invito è quindi partecipare ai gruppi di lavoro sul tema e in generale a prendere parte alle azioni che possono venir proposte». 

Come anticipato fin dall’inizio, non abbiamo qui voluto porci come luogo di scelte quanto di libera condivisione di esperienze e riflessioni, sperando che queste possano comunque arricchire le riflessioni in tema. Questo testo è il frutto di due ore circa di incontro con le colleghe che hanno dato la loro disponibilità, e del quale abbiamo raccolto e riordinato gli spunto emersi; a ciò, abbiamo aggiunto un brevissimo questionario, cui hanno partecipato 32 delle 53 colleghe cui l’abbiamo rivolto, che, pur non ponendosi come strumento statistico, ci ha permesso di tenere in considerazione anche percezioni ed esperienze di coloro che non hanno avuto modo di partecipare all’incontro. 

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