Marche: il punto di vista scientifico

Cos’è successo?

Tra la tarda serata e le prime ore della notte fra il 15 e il 16 settembre 2022 le province di Ancona e Pesaro-Urbino sono state interessate da una struttura temporalesca “autorigenerante”. Si tratta di un fenomeno temporalesco che si auto-alimenta grazie allo scontro tra due masse d’aria con caratteristiche differenti, una caldo-umida, ricca di vapore acqueo, l’altra più fresca e secca, la cui convergenza mantiene attiva la corrente ascendente, ovvero la convezione. Lo scontro ha determinato precipitazioni di notevole intensità (un nubifragio), con una durata di oltre sei ore con conseguenze devastanti per il territorio.

Perché è stato così devastante?

A causa della “stazionarietà” della struttura. Le celle temporalesche di cui è costituita persistono per diverse ore nella stessa area per poi spostarsi molto rapidamente solo al transito della perturbazione. Le strutture autorigeneranti, non sono nuove in Italia, basti pensare agli eventi di Genova (2011 e 2014), le Cinque Terre (2011), Livorno (2017) e Val Bormida (2021), con conseguenze che ancora oggi noi tutti ricordiamo.

Figura meteo

Si potevano prevedere l’evento e il suo impatto devastante?

Purtroppo no. Come sottolineato anche dal ricercatore del Consorzio Lamma Guido Betti, in un’intervista a Repubblica, la predicibilità di questi eventi, cioè prevedere con esattezza struttura, localizzazione esatta ed intensità con anticipo, è ancora molto bassa. In questo caso, inoltre, i modelli idrologici che utilizzano le previsioni quantitative di precipitazione fornite dai modelli meteo non evidenziavano particolari criticità idrauliche. In nessun fiume della regione Marche erano previsti valori di portata elevati, tanto meno superamenti delle soglie di allerta.

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I quantitativi di precipitazione previsti erano di intensità ridotte e arrivando da un periodo particolarmente caldo e asciutto, i suoli erano in condizioni secche.

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L’evento ha interessato in particolare i bacini del Misa (circa 350 km2), dell’Esino (circa 1000 km2), del Cesano (circa 400 km2) e del Musone (circa 640 km2).  

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La precipitazione caduta in tutto l’evento che si è sviluppato tra le 17 circa e la mezzanotte circa del 15 settembre.
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La figura 5 mostra la severità dell’evento, i tratti di fiume viola sono quelli dove le portate modellate sono state più elevate e più raramente osservate dalla climatologia decennale del modello.

Cosa c’entra il cambiamento climatico?

Molto. Il verificarsi di questi eventi improvvisi ed estremi è strettamente legato ai cambiamenti climatici in corso, di cui abbiamo visto le conseguenze sia nella mancanza d’acqua sia nella sua eccessiva abbondanza e violenza, come nelle Marche.

A seguito dell’alluvione che ha colpito le Marche, a partire dal pomeriggio del 15 settembre 2022, il Dipartimento della Protezione Civile ha attivato un servizio di mappatura delle aree allagate da dati di satellitari di osservazione della Terra, fornito da Fondazione CIMA, centro di competenza per il rischio idrogeologico. Grazie al supporto fornito dall’ASI-Agenzia Spaziale Italiana, è stato possibile acquisire immagini delle aree colpite utilizzando le potenzialità delle costellazioni italiane di satelliti dotati di sensori radar, Cosmo-SkyMed-ASI e Cosmo Second Generation (di proprietà di ASI e del Ministero della Difesa) capaci di fornire immagini di giorno e di notte e in qualsiasi condizione meteorologica. La frequenza e l’intensità di eventi naturali quali le “alluvioni lampo” (flash-flood), che coinvolgono piccoli bacini in cui si registrano in poche ore elevatissime portate, come quella che ha sfortunatamente colpito le Marche, sono in continuo aumento. E le conseguenze sono devastanti, sia sulle persone che da un punto di vista economico (perdita di bestiame, danni alla proprietà e alle infrastrutture ecc.). In questo scenario, la disponibilità di una mappa sinottica dell’area colpita in un breve lasso di tempo è di grande aiuto per dare una risposta più rapida ed efficace ai disastri naturali da parte delle autorità competenti. I dati di osservazione della terra (Earth Observation data) hanno fra le altre proprio questa funzione: rappresentano la fonte più utile di informazioni per mappare rapidamente l’estensione dell’area interessata da un evento naturale. 

Da anni i ricercatori e le ricercatrici di Fondazione CIMA si occupano di questi eventi mediante modelli computazionali sempre più avanzati e tecniche di assimilazione dati (utilizzando cioè le informazioni acquisite dai radar meteorologici e le fulminazioni per migliorarne la localizzazione, seppur a brevissimo termine). Inoltre, si studiano i cambiamenti climatici e si diffonde un’informazione corretta attraverso progetti di citizen science come I-Change o la campagna nazionale di comunicazione IO NON RISCHIO promossa dal Dipartimento della Protezione Civile Italiana.

(Le figure sono elaborate da Fondazione CIMA con dati DPC)

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